Le troffiette: come fare in casa una pasta antica mai così attuale

24 Febbraio 2021 0 Di admin

Pensando di scrivere qualcosa sulle troffiette, la prima domanda che mi sono posto è stata la seguente: c’è ancora chi le fa a mano col metodo tradizionale? Trovare una risposta non è stato né immediato né semplice anche se non c’era alcuna premura e bastava aspettare l’occasione giusta che puntualmente è arrivata, casuale e inattesa, come capita quasi sempre.
Conosco da tempo Attilio Uslengo, Cavaliere Ufficiale Cancelliere dell’Ordine dei Cavalieri della Confraternita dei Pesto Genovese, e con lui condivido alcune passioni fra le quali la cucina tradizionale. Qualche settimana fa ci siamo incontrati per concordare la comune partecipazione ad un evento gastronomico e in quella occasione ho saputo che sua moglie, signora Fernanda, fa regolarmente le troffiette a mano, a volte anche a scopo divulgativo e didattico.
Bella coppia Fernanda e Attilio: lei maestra nel fare le troffiette e lui nella preparazione del pesto col mortaio: insieme formano la rappresentazione vivente di una parte importante della tradizione gastronomica genovese. E dato che entrambi sono molto gentili e disponibili, è bastato far sapere loro che mi sarebbe piaciuto assistere alla preparazione delle troffiette e del pesto per ricevere un graditissimo invito.

Dire che le troffiette sono ormai conosciute in quasi tutto il mondo non è per nulla azzardato e le informazioni prese da un noto e serio produttore ligure, che peraltro opera nel paese dal quale proviene la mia famiglia, confermano la diffusione di questa pasta. Di certo sono in vendita nelle due Americhe, in Europa e probabilmente in altre zone del mondo, ma soprattutto godono di una crescente popolarità che è poi ciò che conta. In sintesi, le troffiette sono diventate efficaci messaggere della cucina ligure nel mondo. E dire che in realtà sarebbero legate ad una limitata area geografica, collocata nella Riviera genovese di Levante e compresa all’incirca fra Sori e Camogli, entroterra incluso, anche se ormai sono diventate una pasta tradizionale ligure a tutti gli effetti, commercializzata sia nei negozi di pasta fresca, sia nei supermercati.
Fernanda imparò a fare le troffiette da un’anziana signora che le preparava per i negozi della Riviera, secondo una consolidata consuetudine persasi a causa delle norme igienico sanitarie e dell’avvento dei nuovi macchinari capaci di sfornarne diversi chili l’ora.
L’impasto è molto semplice: farina, acqua e olio di gomito, il tutto per ottenere una pasta piuttosto consistente ma non asciutta, ovvero ideale per essere lavorata e risultare resistente alla cottura.
Una volta ottenuto l’impasto si passa alla vera e propria formatura delle troffiette, e lì la questione si complica perché occorre molto esercizio per ottenere tanti piccoli fuselli di forma e dimensione all’incirca simile. I movimenti di Fernanda sono automatici, ritmici, cadenzati secondo un preciso copione prestabilito che credo possa riassumersi in quattro passaggi salienti: la spezzatura di una particella dall’impasto, la rotazione in avanti sotto il palmo della mano, la rotazione all’indietro fra il palmo, l’anulare e il mignolo, e lo spostamento di lato della troffietta appena formata. Una cosa è scriverlo altro è farlo, ma con un po’ di buona volontà e altrettanto esercizio si può raggiungere un risultato accettabile, a patto di non essere più di due a tavola, altrimenti la quantità creerebbe non poche complicazioni e si paleserebbe una drammatica differenza con chi lavora sul serio.
Ciò che risulta decisivo è il movimento di ritorno della mano, attraverso il quale, mediante la pressione del mignolo, si deve cercare di conferire alla pasta la vaga forma di un cavatappi a due punte.
Come per altre paste, anche le troffiette si possono fare con una base di farina bianca alla quale aggiungere farina integrale e/o di castagne. In questo modo si ottiene una pasta più scura e più saporita che può essere mescolata alla bianca per un primo eccellente. Non può mancare un buon pesto, e lì Attilio non è secondo a nessuno. Armato di pestello e mortaio di marmo, in pochi minuti prepara una salsa da Re che va benissimo sulle troffiette, a patto di non esaurirla nei preliminari, ovvero mentre la si assaggia col pane.
Inutile dire che gli ingredienti devono essere scelti e di alta qualità, e infatti Attilio usa basilico della varietà Genovese coltivato in Liguria, parmigiano-reggiano stagionato trentasei mesi, pecorino sardo fiore ben equilibrato e stagionato quindici mesi – che ha scovato non so dove -, aglio italiano del migliore, possibilmente di Vessalico, pinoli di Pisa e sale grosso marino. Il tutto aggraziato e rallegrato da un olio extravergine di oliva ligure, che armonizza e completa la salsa. Attilio sostiene che il dosaggio degli ingredienti deve essere personale e rigorosamente ad occhio: ” il Pesto occorre sentirlo prima ancora di farlo e gustarlo”.
A preparare gli ingredienti ci pensa Titti, sorella di Attilio, che grattugia il formaggio a mano, pulisce il basilico ad arte e sa usare la saggezza di chi “prepara” l’azione vincente, fa l’assist, lasciando ad altri il colpo finale. Insomma un terzetto vincente dal quale c’è molto da imparare.

L’assaggio non è neppure descrivibile: un piatto indimenticabile.
Ancora una semplice raccomandazione: nelle troffiette col pesto non possono mancare alcune patate affettate – e ovviamente lessate -; completano il piatto e rendono omaggio ad un prodotto americano che, a partire dalla fine del ‘700, ha salvato la vita a intere generazioni di liguri. In primavera si aggiungono un pugno di fagiolini freschi che in altre stagioni non avrebbero troppo senso.
Chi desidera gustare un buon piatto di troffiette col pesto ma non ha tempo di prepararle a mano o crede di non esserne capace, può comprarle confezionate, facendo lo stesso col pesto di produzione artigianale, non industriale.
Se invece ci si vuol cimentare in una preparazione casalinga, è sufficiente prendersi un po’ di tempo e si raggiungerà certamente un risultato soddisfacente che stimolerà ulteriori sperimentazioni. È un bel modo di stare assieme intorno ad un tavolo, condividendo con altri un lavoro che riconduce ai tempi lenti della preparazione del cibo e restituisce sapori ed emozioni che solo così possono essere apprezzate. Vale la pena di provare.

Sergio Rossi