Alloro, tra storia e profumo

Alloro, tra storia e profumo

27 Gennaio 2019 0 Di admin

Dafno — narra una leggenda greca — era una ninfa bellissima, tale da innamorare profondamente Apollo. L’ardore non era però ricambiato per nulla, con santissimo dispetto del dio, che un giorno, perse le staffe come un comune mortale, prese ad inseguire l’amata, deciso a farla comunque sua; ma Dafne, ormai raggiunta, chiese l’aiuto celeste. La soccorse per alcuni Gea, la dea della terra, e per altri addirittura Giove: in ogni caso senza un intervento magistrale, se non si seppe far di meglio che trasformarla in albero di alloro. Il quale neppure seppe frenare completamente l’esuberanza di Apollo, che abbracciato al tronco giurò che con quelle foglie avrebbe per sempre ornato la chioma, la cetra, la faretra…
Così l’alloro si legò alle arti, incoronando le tempie dei suoi protagonisti, simbolo di gloria e anche di saggezza. Ma conobbe pure, su un piano più prosaico, impieghi più gastronomici: apparentemente fra i più umili ingredienti di cucina, ma d’impiego pressoché costante ed essenziale, per la generosità con cui cede alle vivande l’inconfondibile aroma.
Il romano Apicio, vissuto ai tempi d’Augusto e Tiberio, fu il primo ad azzardarne tale uso: nel suo ricettario «De re coquinaria», infatti, illustra la preparazione del «porcellus laureatus»; e da allora la sua fortuna culinaria non conobbe mai eclissi, diffondendosi anzi sempre più, magari nei modi meno prevedibili. Come per esempio a Gorleri, in provincia d’Imperia, dove al coniglio, prima d’essere sacrificato alla gastronomia, viene — o veniva — somministrato, negli ultimi quindici giorni di vita, oltre alla crusca e all’erba, fronde d’alloro… ofeuggio, in genovese: verosimilmente da «foglia d’oro», in omaggio alle sue doti.

Michelangelo Dolcino