Il mite agnello pasquale
Genova vanta una particolarissima reliquia, custodita in Cattedrale, nel Museo del Tesoro: il Sacro Catino, portato a Genova nel 1101 da Guglielmo Embriaco e i suoi Crociati, bottino prestigioso nella conquista di Cesarea.
Un esagonale piatto di cristallo verde, d’epoca augustea, ritenuto sino agli inizi del secolo scorso il frutto della lavorazione d’un unico, enorme smeraldo… Ma il suo fascino ad altro si affida: secondo la tradizione, fu usato nell’Ultima Cena, per presentare agli eccezionali convitati l’agnello pasquale.
Questo, appunto, volevamo ricordare: simbolo di mitezza e d’innocenza, l’agnello fu piatto pasquale già per gli Israeliti, che festeggiavano nell’occasione il passaggio del Mar Rosso. E Pasqua deriva proprio dall’ebraico «pesah», divenuto poi «pascha» nel latino ecclesiastico, quando la giornata era stata scelta a commemorare la resurrezione di Gesù.
Ma propriamente «l’agnello — sentenzia Pellegrino Artusi, su un piano più prosaico — comincia ad essere buono in dicembre, e per Pasqua o è cominciata o sta per cominciare la sua decadenza». E in effetti i genovesi del passato ne consumavano una grande quantità nel pranzo natalizio, come attesta la versione profana della «Pastorella» di Sant’Alfonso de’ Liguori, da noi già citata in altra occasione :
«A Natale se mangia o blbbin
cò-i bescheutti toccae in to vin,
e un agnelletto, un bacì de vin
e un pollastretto»
(«A Natale si mangia il tacchino / coi biscotti intinti nel vino, / e un agnelletto, un bacile di vino / e un pollastrello»)…
Né dissimile è la variante cantata attorno alla Spezia:
«Sausissa e macaroin, lé chi Natale!
Carne de porco se’n mangia paga,
carne de bé se’n mangia assè»
(«Salsiccia e maccheroni, è qui Natale! / Carne di porco se ne mangia poca, / carne d’agnello se ne mangia assai»)…
Michelangelo Dolcino