Quei gagliardi macellai d’una volta
Nei primi mesi del 1383, Genova conosceva l’ennesima agitazione. Perchè — ci si chiedeva — la nobiltà era tanto favorita? Perchè il Maestro di Giustizia — elegante espressione per indicare il boia — lavorava per cosi dire a tempo pieno, e altrettanto facevano i gabellieri, con aggravi fattisi insopportabili? E dove finiva tutto il denaro rastrellato?
Il Doge Nicolò Guarco convocò il Parlamento, e fece chiedere alla moltitudine di levar la mano se si era dalla sua parte. I cronisti assicurano levare gli eccessivi oneri fiscali. Il Doge parlò, demolendo con abilità gli argomenti a lui contrari, ma non convinse i membri della Corporazione dei Macellai, i quali — tanto per esemplificare la propria risolutezza — uccisero una guardia e il medesimo Mastiti di Giustizia, ma ottennero parecchio. Alcune gabelle vennero velocemente abolite, molti fuorusciti ed esiliati furono richiamati con eguale rapidità, e i nobili si ritrovarono esclusi dalle cariche pubbliche.
Ma tutto ciò non fu sufficiente a modificare la situazione. Il 3 aprile dello stesso 1383, i Macellai — ancora loro — si radunarono fuori della Porta di San Tommaso, trascurando l’atmosfera di particolare devozione del Venerdì Santo, e al suono delle campane di San Bernardo riuscirono ad infiammare convenientemente duemila cittadini almeno, con reiterate grida di Abbasso le gabelle e viva il popolo!.. Quella folla si ritrovò il giorno di Pasqua all’assalto di Palazzo Ducale. Considerato che nessun’altra cosa gli rimaneva da fare, l’illustre inquilino si allontanò attraverso un sotterraneo che portava alla Cattedrale; poco dopo, tutta la famiglia Guarco fuggiva a Finale.
I Macellai genovesi, appunto — dopotutto nostri «eroi» in questo inserto e in altri che seguiranno — ebbero carattere particolarmente risoluto. Anche, avevano assunto un ruolo importante nell’elezione di Simon Boccanegra — il primo Doge, come tutti sanno, magari con l’aiuto di Giuseppe Verdi — nel 1339; e un macellaio di Soziglia fu tra gli organizzatori, l’anno seguente, d’una congiura contro lo stesso personaggio, peraltro fallita; e un altro rappresentante di categoria, Ambrogio Rossi, fu designato, ancora dal Boccanegra, quale Vice-Doge, perchè si occupasse principalmente della distribuzione di cibarie ai meno abbienti.
L’appoggio all’elezione di Simone era venuto per l’ennesima questione di gabelle. Sui macellai, in Soziglia, per l’occupazione di suolo pubblico dei loro banchi gravava una forte tassa, appaltata nel 1256 per la somma complessiva di 3.825 lire annue. Quando cinquantadue di tali banchi dovettero essere rimossi, i loro proprietari si videro costretti a continuare il pagamento: inaccettabile sopruso, che portò per l’appunto alla sommossa, per un robusto scossone al sistema.
La loro fu tra le più antiche corporazioni di mestiere della nostra città, assieme a quella dei Mulattieri, con notizie risalenti alla prima metà del ‘200. L’esercizio dell’attività passava da padre a figlio, e chi non aveva successori maschi doveva ritornare alla Corporazione il «Privilegio»; messo questo all’asta, col ricavato si risarciva la famiglia di quanto aveva perso. Un baluginare di misure previdenziali, dunque, ma soprattutto la possibilità di rappresentare, con l’unità, una forza effettiva. Come quando — nel 1251 — tale Guglielmo Peloso, macellaio di Sestri Ponente, fu catturato nelle acque dinanzi al monastero di San Fruttuoso da corsari pisani.
Fu l’unione «di tutti i macellai della città di Genova» a rivolgersi alla consimile organizzazione della repubblica toscana: in cambio della libertà del collega, venne offerta ai macellai pisani una particolare protezione sull’intero territorio ligure…’
Michelangelo Dolcino