Da Noè alle burrasche nostrane
Antichissima e molto diffusa è la superstizione per la quale versare olio d’oliva attirerebbe notevoli sventure: in particolare, prossima povertà. La ragione di ciò è conseguente al fatto che lo spargerne assumeva in passato quasi il valore d’un sacrilegio, dati i caratteri sacri dell’olio stesso, considerato nella Bibbia — secondo le parole di Moscati — «di volta in volta segno di prosperità, di offerta, di devozione, di consacrazione». Con olio, poniamo, venivano consacrati i re, a partire da quelli dell’antico Israele; e con olio — fra l’altro — i sacerdoti procedono alla cresima e all’estrema unzione.
Altrettanto sacro era reputato l’olivo, anch’esso menzionato più volte nelle Sacre Scritture, spesso come emblema di pace. Dopo il Diluvio, si sa, la colomba ne portò a Noè un virgulto nel becco, a significare che la vita era tornata sulla terra; e Gesù — per limitarci negli esempi — sostò appunto nell’orto degli olivi. Per tale simbolismo, almeno nel Ponente si riteneva che le culle ricavate da questo legno fossero le più adatte a difendere i bimbi dal malocchio, una convinzione che può essere un tantino spiegata anche dai suoi caratteri: profumato, di notevole durezza, refrattario — quando sia convenientemente stagionato — all’umidità e al tarlo…
Le giovani della campagna imperiese, ancor oggi deducono dal crepitare delle foglie d’olivo l’imminenza o meno del loro matrimonio; ma gli impieghi più curiosi riguardavano un tempo l’olivo benedetto. I contadini infatti ne gettavano ramoscelli dalle finestre, durante i temporali, a tenere lontane folgore e grandine; e anche, l’appendevano all’uscio di casa, per impedire alle streghe l’ingresso notturno…
Michelangelo Dolcino (1975)