I bagni

24 Marzo 2019 0 Di admin

“In Genova e nei suoi dintorni l’uso del bagno di mare come mezzo igienico e terapeutico risale poco oltre un terzo di secolo….”

Così scriveva il dottor e cavalier G.B. Pescetto nella sua «Guida igienica per i bagni di mare», del 1862, permettendoci di stabilire che un’attrezzatura balneare prese a svilupparsi fra noi attorno al 1830. Altre volte abbiamo citato il libro, ma è appunto tanto circostanziato, e anche gustoso, che ancora vi facciamo riferimento. Aggiungiamo soltanto che iniziando le abluzioni marine in quell’anno, non si partiva con rilevante svantaggio rispetto ad altri paesi: la “nascita” di tale pratica viene di solito collocata nel 1824, quando la duchessa di Berry, nuora di Carlo X, immerse nelle acque di Dieppe entrambi i piedini, seppure protetti da pantofole – l’audacia doveva pur avere un limite – con opportuna scorta di dame nonché il medico personale.

Il dottor – e cavalier – G.B. Pescetto dovette insegnare ai nostri avi proprio tutto: che occorreva affrontare l’acqua salata soltanto dopo un massaggio allo stomaco con olio d’oliva o di mandorle dolci; che finito il bagno la sensazione di freddo andava vinta per mezzo di “un brodo, un bicchierino di rosolio di vino di Bordeaux o di Malaga con biscotti” e magari un pediluvio caldo; che successivamente era buona cosa per l’interessato “intraprendere una modesta passeggiata di mezz’ora almeno evitando più che può il sole”. Quanto al numero, i bagni – da non ripetere assolutamente nella giornata – dovevano risultare venticinque o al massimo trenta per stagione.

E il costume? Pescetto consigliava per gli uomini “un giponetto a maniche e un paio di pantaloni più o meno lunghi ma comodi”; e altrettanto ampi i pantaloni femminili, “rugati in cintura e lunghi sino al garretto, i quali dal lato superiore sono raccomandati ad un corpetto fisso con essi in modo da formare la continuazione di un solo pezzo unito”.

Il tessuto, “maronato o grigio” era da preferirsi né troppo pesante, che sarebbe riuscito d’impaccio, né troppo leggero, giacché in tal caso “si adagierebbe troppo alle forme femminili, esponendo al sortire dal bagno il pudore delle donne a grande imbarazzo”. Ancora in nome della verecondia, poi, si usava assegnare al sesso debole “guide femminine” ma il nostro igienista preferiva virili bagnini, che meno lo lasciavano scettico sulla presenza di spirito in caso di pericolo. Pegli già ne contava almeno un paio di ottimi: Stefano Graffigna e Francesco Canepa, più noti – con nomignoli da “bravi” manzoniani – come Pattajolo e Piccirino.

I tempi registrarono pure presenze illustri. Massimo D’Azeglio, per limitarci negli esempi, trascorse vacanze fra Cornigliano e Sestri Ponente; Giuditta Sidoli, abbandonata l’affascinante veste di cospiratrice, scelse invece Sturla. Anche bagnanti forestieri affluivano a Nervi e Sestri Ponente, allora presentata come paese in “amena postura”, col “sorriso di verdeggianti colli” e perfino “dal balsamico clima”. Lì era una delle spiagge più eleganti di Liguria, proprietà privata del Grand Hotel, cui si accedeva attraverso 300 metri di suggestivo giardino, condotti da una sontuosa carrozza con cocchiere negro in livrea.

Col rotolare dei decenni le cose cambiarono radicalmente e il cavalier Pescetto ne sarebbe uscito sconvolto. A San Nazaro, a San Giuliano, un brulichìo di folla vociante, più numerosa anno dopo anno, con calzoncini sempre più succinti, spalline sempre più strette. Ma erano i ragazzi a prevalere, perlomeno a far più chiasso: le mamme – scrisse Alf Gaudenzi – “da sole o riunite in piccoli gruppi attorno a qualche raro ombrellone sferruzzavano calze e maglioni e sorvegliavano i figli richiamandoli continuamente: – Vai in acqua che ti rinfreschi. – Non andare in acqua che prendi freddo. – Corri che ti fa bene. – Non correre che sudi. – Metti la maglietta. – Togli la maglietta… con voci che col passar del tempo diventavano sempre più lamentose”. Un particolare richiamo, comunque, mai doveva essere ripetuto: quello che annunciava la colazione. Tentando di nascondere mani impresentabili, la cui pulizia sarebbe costata tempi inaccettabili dall’appetito, i bimbi assistevano allora al quotidiano miracolo materno: l’estrazione dalla borsa, inesauribile quanto quella di Mary Poppins, di tovaglioli, bicchieri, posate, la bottiglia d'”acqua di Vichy” – che nulla aveva a spartire col raffinato centro termale, nata com’era da umili bustine – e soprattutto una serie di contenitori assortiti che fra tutti gli oggetti suscitavano la maggior attenzione…

Ancora una volta “a la recherete du temps perdu” proponiamo tra il prologo del acondiggion” e il galop-finale delle dissetanti prugne cotte, due frittate ineccepibili: di zucchini e di cipolle. Quest’ultima non consigliabile magari a chi deve affrontare fitti colloqui d’affari o tantomeno rendez-vous amorosi, ma come la consorella dispensatrice di sapori sempre sorprendenti, di freschi umori… Un quarto d’ora dopo l’abbondante consumazione, da parte dei figli scattava – insopprimibile quanto un precetto mosaico – la richiesta destinata a rinnovarsi dozzine di volte, a intervalli sempre più brevi: era trascorso dal pasto tempo sufficiente a concedersi un bagno?

Condiggion (Insalata mista del ponente )

Frità de succhin (Frittata di zucchine) 

Brignoin cheutti (Prugne cotte)